Il “Paratasso” di Marzio Pieri

In una condizione di guerra permanente, permanente è la menzogna, che permane, sempre più sedimentandosi, condizionando ogni comportamento, ogni parola.

Lo statuto di menzogna della letteratura dev’essere costantemente ricalibrato, preservando la menzogna come rifiuto della verità assoluta dall’invasività della menzogna come condiscendenza, collaborazione, complicità, in vera o falsa coscienza, con i poteri. Non solo con quelli dominanti. Anche con quelli dominati. Con tutti. Con il potere come mezzo e fine dell’agire culturale e sociale.

“È del poeta il fine lo scompiglio / Dell’attendibile, del rubricato, / Del certo.” Così, ricalcando il suo Marino, nelle Conclusioni (del Tasso), Marzio Pieri annota la poetica sottesa a questo libro, anomalissimo, non rubricabile, nemmeno in un àmbito di neobarocco. La scrittura di Pieri è troppo disperante, in discanto perpetuo, per costituirsi come mimesi pacificata del “mondo barocco”. Nemmeno Gadda fu pacificante, ma lo è forse un certo barocchismo odierno, che ha scelto la dis-tensione delle forme e dunque, forse, la pre-esistenza dei contenuti, la loro estetizzazione. Nelle stesse Conclusioni, Pieri annota infatti anche un’altra poetica: “V’è in tutte le notti un momento, / Che l’oriuolo non segna, / Come v’è in ogni verso / Una battuta bianca impercettibile, / Inavvertita / Da chi un verso lo conta / Su le dita… / Del poeta il fine è l’inconoscibile silenzio”.

Si pongono qui un fine e un confine: il fine conoscitivo della letteratura, la nominazione del non certo, del non conosciuto, e il confine, invalicabile, del silenzio, di ciò che mai le parole seppero dire. Fine e confine sono inscindibili. Non facile disincanto del “tutto è già stato detto” e conseguente ciarla, vaniloquio intrattenente. Nemmeno la pretesa del “tutto è dicibile”, che presuppone la protervia del “tutto è conoscibile”, se non “conosciuto”. La sintesi rimane quella che conclude L’innomable di Beckett: “… ça va être le silence, là où je suis, je ne sais pas, je ne le saurai jamais, dans le silence on ne sait pas, il faut continuer, je ne peux pas continuer, je vais continuer”.

Pieri è scrittore di critica, di filologia, ma è soprattutto scrittore di storia, e di storia politica, della cultura e della società. Il suo non-sistema è un irradiarsi errabondo, frenetico, di descrizioni, analisi, ricordi, racconti. E di denuncia mai sopitasi di ogni complicità con i poteri (editoriali, accademici, politicanti). Non sistematico, non fautore di una precettistica organizzata in dogma da applicare alla letteratura astraendo da testo e contesto, Pieri persegue, in una lunga e ineguagliabile esperienza barocca e novecentesca, la menzogna conoscitiva, scardinante, dell’arte, aborrendo la menzogna delle verità assolute, tanto ab-solute quanto indissolubili dai poteri che generano e che le generano. Così, decidendo di scrivere un “autentico falso d’Autore”, Pieri scrive una Gerusalemme Rivelata, per rivelare il già noto a tutti eppure da quasi tutti taciuto – il contesto di una guerra mondiale permanente in atto.

“Finita la revisione dei materiali disseppelliti alla vigilia del Ferragosto MMIV nei giorni della presa di Najaf. Impaginati in quelli della Falluja Liberata.” Con queste parole apparentemente extratestuali si chiude il testo del Paratasso. Sono esplicite. Dicono che ogni nostra pseudocertezza sulle funzioni della cultura rischia di essere pseudoconoscenza, ideologia, se si restringe lo sguardo al piccolo cerchio di finzione in cui si vorrebbe che ci muovessimo. E che può essere confortevole, accogliente, nella comunanza del privilegio occultato, nutrita di do ut des e di reciproche pacche sulle spalle, per incoraggiarsi a vicenda credendosi vittime dei mezzi di comunicazione di massa mentre si è complici dei mezzi di distruzione di massa, quelli veri, che uccidono davvero.

Nella Protasi si legge: “Canto l’armi di massa e la sragione / Canto il fiume del tempo che s’insabbia […] Poesia fu un lungo losco traffico […] Lo capiranno tutti / che è la fine metteranno la figlia in tutù / sbrineranno il frigorifero / serreranno le porte andranno al bagno”. E poi, nella Narratiuncula prima: “E dunque non faremo il calcolo / Delle vittime / Non spetta al poeta presiedere / La commissione d’inchiesta / Forse davvero il poeta ha stretto un patto col tacet / Orrore errore onore non lo vincolerebbero / Ma è il pudore che l’obbliga / Che gli è divieto / Gli sventurati non rispondono mai, / per condizione, per statuto… / Parla bene chi è stato al calduccio / nelle sue case d’Europa / al rezzo nei giardini nel silenzio / delle foreste bibliotecarie / nel fruscìo della voce dei savî / ‘Al dolce suono della Filarmonica’…”.

Un certo snobismo intellettuale sbeffeggia e bacchetta chi denuncia l’evidente. La banalità del male dispiace ai rigattieri dell’infotainment per acculturati d’alto bordo o aspiranti tali. Gli sventurati non rispondono mai: inutile parlarne. Viene in mente Ernesto Sábato, che “fece il conto delle vittime” della dittatura argentina redigendo, nel 1984, il Nunca más. Viene in mente, a proposito della “cocacola” e delle sue “crociate”, la devastazione delle riserve d’acqua indiane (si legga, di Vandana Shiva, Le donne del Kerala contro la Coca Cola, in “Le Monde Diplomatique” del marzo 2005). Inutile parlarne…

Marzio Pieri ha voluto parlarne, ha voluto scrivere un libro di critica. Non ardirebbe mai dirsi poeta. Ma il Falso bordone che sigilla il Paratasso va citato, come poesia, per intero. Vi ritorna, suonando in contrappunto col cantus firmus dello “scompiglio”, dell’incertezza inesausta, l’”inconoscibile silenzio”. L’accenno al Tristan und Isolde, al mare desolato e vuoto, è accenno anche alla Waste Land di Eliot, dove lo stesso verso di Wagner, “Öd’ und leer das Meer”, è preceduto da quest’altro: “Looking into the heart of light, the silence.”

Falso bordone

Dove può andare l’anima,
una volta struccata?
Forse sotto una faccia di menzogna
per questo gioco badalucco
non si vergognerà d’essere ignuda,
ma come ritrovarla sotto i nuovi
stracci non suoi o recondite vigogne?
Dare il belletto a un soffio,
sbagliare il passo in un balletto abietto
per troppo amore, invano da questa coffa
d’arlecchino-galeone scruto il mare
öd’ und leer, come un uovo preistorico.

Marzio Pieri, Il Paratasso o La Gerusalemme Rivelata. Il poeta, le vergini e le crociate della cocacola («Autentici falsi d’Autore. Collana diretta da Giovanni Casertano»), Alfredo Guida, Napoli, 2005.


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Giuliano Mesa, Il “Paratasso” di Marzio Pieri, in «Italianistica Online», 25 Giugno 2005, http://www.italianisticaonline.it/2005/pieri-paratasso/

Questo articolo