Identità

Se oggi ci si proclama antisraeliani (perché quella di Israele ai danni del Libano, che si vuole spacciare per “guerra difensiva”, è in realtà un’aggressione) si viene subito tacciati di antisemitismo.

Se ci si dichiara stupiti davanti alle parole pronunciate dal Papa a Ratisbona si viene rimproverati di alimentare i soliti pregiudizi verso il cattolicesimo e, nella peggiore delle ipotesi, di fiancheggiare l’integralismo islamico e le sue guerrafondaie dottrine.

Se, all’indomani della autocensura preventiva della berlinese Deutsche Oper ai danni della rivisitazione moderna dell’Idomeneo di Mozart, ci si erge a paladini della libertà dell’arte si può venire accusati di buttare benzina sul fuoco del “conflitto di civiltà”.

Sono portato a credere che una buona parte di responsabilità per tutto questo sia da addebitarsi a una crisi dell’identità occidentale, dei popoli come degli individui, che non ha eguali nella recente storia europea. Tanto più ci sentiamo minacciati dall’“altro” nella nostra identità individuale e collettiva tanto più reagiamo bruscamente, talora violentemente, nei confronti di chi non si schiera apertamente a favore di quella sola idea, di quella sola fede, di quel solo credo politico che pretendiamo di rappresentare.

È il paradosso degli anni che stiamo vivendo: a un’Europa “superficiale” che tenta insistentemente la via del dialogo sembra sempre più corrispondere un’Europa “profonda” che ne ha una oscura, irragionevole paura, che chiede a ciascuno di esporsi, di dichiararsi. O cattolico o musulmano. O arabo o israeliano. O santo o peccatore.

Il mondo è sempre più iridescente, le sfumature hanno ormai la meglio ovunque sui colori e qualcuno pensa ancora seriamente di poterci imporre di scegliere senza alcuna esitazione tra il bianco e il nero, di decidere una volta per tutte se si è favorevoli o contrari a che le donne di fede musulmana debbano avere piena facoltà di portare il velo (o, peggio ancora, il burka) nei paesi occidentali.

Con il crollo del comunismo nei Paesi dell’Est quello che si credeva uno steccato impossibile da abbattere (la divisione tra destra e sinistra) è improvvisamente venuto giù.

Con le migrazioni nella vecchia Europa di nuove fedi e di nuove credenze quella che si sarebbe ritenuta qualche tempo fa una remotissima ipotesi (lo smarcamento dal cristianesimo, impiantato da secoli sul continente europeo, della civiltà dai mille volti e dalle mille sfaccettature che sta nascendo giorno dopo giorno sotto i nostri occhi) si sta rivelando una realtà con cui, volenti o nolenti, dobbiamo tutti fare i conti.

Con il riconoscimento delle “diversità” sessuali anche l’identità di gender, una identità culturale, prima ancora che biologica, che, appena fino a ieri, divideva in modo inequivocabile l’uomo dalla donna, si sta progressivamente sgretolando sotto i colpi di maglio del relativismo psicologico e antropologico.

È arrivato il momento di rinunciare a dire “io”, ma anche di rinunciare a dire “altro”. Si dovrebbe cominciare a dire che “io” è anche “altro” e che “altro” è anche io. È quell’anche il solo in grado di gettare un ponte tra le diverse identità, tra le diverse fedi, tra le diverse civiltà. Sono anche musulmano. Sono anche migrante. Sono anche omosessuale.

Mi costerebbe più fatica dichiararmi anche un po’ di destra (Fausto Bertinotti, coraggiosamente, l’ha fatto) e ancora maggiore fatica confessarmi anche israeliano e anche americano (Bush è lì a ricordarmi, ogni volta che ci provo, l’ipocrisia dell’attuale politica americana). Potrei provarci, però. Mi potrei sforzare in nome della pace.

Ha detto Hans Neuenfels, il regista dell’Idomeneo censurato: «Poiché milioni di morti sono da mettere sul conto dei conflitti di religione, abolire tutte le religioni può essere una misura propedeutica alla pace». La frase, senz’altro un po’ ad effetto, rende però bene l’idea dei pericoli sottesi all’esclusività dell’amore portato verso un solo dio dalle grandi religioni monoteiste del pianeta: il cristianesimo, l’islamismo, l’ebraismo.

Ha senz’altro ragione l’antropologo Francesco Remotti (Contro l’identità, Roma-Bari, Laterza, 20053): la pretesa di unicità può portare acqua al mulino dello scontro e dell’intolleranza. Forse mai come in questi ultimi tempi mi è apparso chiaro che è arrivato davvero il momento di dichiararci pronti a fare tutti insieme uno sforzo nella direzione dell’incontro (che è altro dalla ipocrita, e abusatissima, tolleranza reciproca) tra le diverse fedi, le diverse culture, le diverse identità. In nome di una pacifica, serena, autentica convivenza.


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Massimo Arcangeli, Identità, in «Italianistica Online», 20 Gennaio 2007, http://www.italianisticaonline.it/2007/identita/

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