Letteratura

“È stata costruita l’Europa dell’economia e della politica, ma esiste un’Europa della letteratura? Esiste cioè una piccola biblioteca condivisa nella quale i cittadini europei possano ritrovare una comune identità anche sul piano delle emozioni?”.

Si apriva così un articolo di Simonetta Fiori apparso qualche tempo fa su “Repubblica” e dedicato a un’iniziativa promossa dalla Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università “La Sapienza”.

L’iniziativa, a cui ha fatto seguito un convegno, è consistita nel consultare tre grandi atenei di dodici paesi europei chiedendo loro di rispondere a sedici domande del tipo: “Quali sono i trenta autori e le trenta opere europee che ritenete più importanti, escludendo quelli della vostra nazione?” “Quali sono i dieci maggiori autori del Novecento del vostro paese?” “Quali gli scrittori, sempre novecenteschi, più trasgressivi e ingiustamente sottovalutati?”.

La biblioteca condivisa come la memoria condivisa più volte richiamata da Carlo Azeglio Ciampi nel suo settennato: la blindatura nel canone come l’incatenamento a un ricordo collettivo che non può darsi, che non può esistere. È un catalogo diverso, precisa il promotore dell’iniziativa, Roberto Antonelli, dal “canone occidentale” di Harold Bloom, fortemente viziato da filoangloamericanismo; affonda le sue radici nella comune matrice classica, riconoscendo a Omero, Ovidio, Virgilio il ruolo di spicco che meritano; non dà scampo ai suoi detrattori, i quali, negandolo, dicono “una sciocchezza, perché si voglia o meno oggi già esiste. Basti guardare la classifica dei bestseller: è anche quello un canone, fondato però non sulla qualità delle opere ma sul consumo”.

Il problema però è proprio questo. Mi limito a focalizzarlo ricorrendo all’ironia ma senza la minima forzatura: dal momento che il canone (quello, sia pure consumistico, dei libri più venduti) ce lo abbiamo ogni giorno sotto gli occhi, perché mai scandalizzarsi se ne applichiamo il modello al nostro passato europeo stilando una bella classifica dei sommi scrittori e di quelli più sfigati (“ingiustamente sottovalutati) e anticonvenzionali, o, per essere à la page, più “trasgressivi” (da Joyce a Kafka)?

Un autentico paradosso: l’effimera auctoritas classificatrice della società dei consumi, che avanza da qualche anno inarrestabile col suo esercito di hit-parade da vetrina, giustifica l’istanza di perennitas ispiratrice di una “dotta” operazione di recupero della nostra memoria letteraria europea.

Non molti anni fa Sebastiano Vassalli, in una guida tutt’altro che amena e dal titolo fin troppo eloquente (Il libro delle classifiche), compiva un’operazione analoga: tra i dieci libri più belli mai scritti (dimenticata, bontà sua, la Commedia dantesca e l’intera produzione shakespeariana), una qualsiasi edizione di fine ’800 del Dizionario illustrato Larousse; e al primo posto, prima ancora dell’Odissea di Omero.

Un dizionario: un repertorio alfabetico che, in quanto tale, ingabbia e mortifica la varietà e la complessità del reale; prefigurazione dell’Inferno per la penna maudite di José Bergamin, luogo deputato di un’alfabetizzazione generale e progressiva che opererebbe nella vita dell’uomo “come una paralisi generale e progressiva del pensiero” (Decadenza dell’analfabetismo). Un dizionario: quello che vorrebbero in un certo senso rifondare le due gloriose istituzioni spagnole che hanno chiesto ai volenterosi di adottare una delle tante parole castigliane depennate dai vocabolari, in quanto uscite dall’uso; non solo per sottrarle alla tomba dell’oblio, ma per difendere una identità nazionale minacciata dall’angloamericanismo imperante e dai micidiali effetti omologanti del politicamente corretto

A un’Europa sempre più frammentata al suo interno parrebbe rispondere così un’Europa che ripiega su se stessa e sulle proprie macerie (la classicità); e se la prima conosce, ed è ormai costretta a riconoscere, l’esistenza di nuovi margini (non più ai suoi confini ma nel cuore stesso delle sue capitali e delle sue grandi città) e si scopre ormai declinante, l’altra quei margini vorrebbe invece rimuoverli, annotando su un taccuino un po’ ingiallito i nomi dei buoni, coraggiosi, incompresi cari vecchi scrittori europei e delle parole che non si usano più.

Passi, se è per rendere un servizio alla nostra memoria. Ma il sospetto è che lo sbandieramento, nel nome di un’Europa comune (o condivisa), di anacronistiche battaglie di retroguardia e di giudizi di valore “agonistici” mutuati dalla società dei consumi siano le due facce di una stessa medaglia: più che un’operazione da taccuino una rincorsa mediatica all’agenda setting, costi quel che costi. Che si tratti dei grandi della letteratura europea, delle parole a rischio d’estinzione o dell’orsetto Knut salutato da frotte di visitatori allo zoo di Berlino.

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Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Massimo Arcangeli, Letteratura, in «Italianistica Online», 21 Luglio 2007, http://www.italianisticaonline.it/2007/letteratura/

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