Domenico
Chiodo
La rete,
i pesci, i pescatori: un primo bilancio dello
"Stracciafoglio"
Il sito Italianistica
Online
fu tra i primi a segnalare Lo Stracciafoglio
dichiarandolo
“in assoluto la prima rivista professionale di italianistica edita
esclusivamente online”, dichiarazione che seguiva con una
specificazione ulteriore utile a chiarire il pieno significato dell’aggettivo
“professionale” nel riconoscere alla rivista una “serietà
redazionale” per nulla inferiore “a quelle tipiche delle
pubblicazioni cartacee di tale genere”. Eguale tono ebbero altre
segnalazioni in sedi di prestigio, dal “Giornale Storico della
Letteratura Italiana” allo “Year’s Work in Modern Language
Studies”, agli atti di convegni in cui l’iniziativa venne citata
e lodata; nonché in private attestazioni di stima giunte alla
redazione: i complimenti vertevano ancora sullo stesso punto: che Lo Stracciafoglio
non abbia niente da invidiare a una rivista cartacea, affermazione
quasi sempre accompagnata da un esibito moto di sorpresa.
Tale
sorpresa più che deporre a favore del nostro lavoro denuncia una
convinzione che non può essere tacciata di pregiudizio: l’editoria on line,
e soprattutto le edizioni di testi antichi on line, non hanno
fin qui goduto di quelle attenzioni che sarebbero state auspicabili
e chi si serve degli ormai numerosi repertori di testi in rete resta
talvolta sconcertato dal divario di attendibilità dei testi ivi
riuniti. Accanto a edizioni filologicamente ineccepibili si trovano
infatti testi letti allo scanner e raffazzonati alla bell’e
meglio, prodotti che definire dilettanteschi è già un eufemismo,
trascrizioni affidate a laureandi o neo laureati e non più
ricontrollate, e così via. Perché allora, ci si chiede, i testi
dello Stracciafoglio
ricevono una cura simile a quella che si è abituati a richiedere a
una pubblicazione cartacea?
La risposta è tanto ovvia quanto non tale da suscitare l’ammirato
entusiasmo dei navigatori in rete: la nostra rivista non è stata
pensata per la rete ma come una rassegna cartacea, ovvero il
progetto di rivista è nato ben prima della scelta di destinarlo all’esclusiva
pubblicazione on line, ed è nato come una sorta di
supplemento integrativo delle pubblicazioni Res, come luogo in cui
destinare quanto sembrava utile far conoscere, ma non atto a dar
luogo a un titolo delle nostre collane. L’idea era insomma, come
dichiarato nella presentazione redazionale del primo numero, quella
di offrire “non studi critici, né rassegne bibliografiche, ma, in
linea con l’attività editoriale della Res, testi, esclusivamente
testi, corredati di adeguate, ma sintetiche, introduzioni e commenti”.
Si trattava di portare alla luce opere non altrimenti recuperabili:
“testi di limitate dimensioni improponibili in volume; brani
interessanti di opere la cui pubblicazione risulta sconsigliabile
perché nell’insieme non meritevole di tanto, oppure, ancora,
documenti, di maggiore o minore o anche nullo valore letterario, ma
utili a illuminare personaggi o eventi storici di qualche rilievo”.
La
prospettiva rimaneva e rimane per il gruppo redazionale Res quella
del libro, nella sua insostituibile corporeità tangibile, mentre le
possibilità offerte dalla rete sono apprezzabili alternative come
diramazioni vicarie della forma di comunicazione della carta
stampata. Su carta quella rivista concepita come uno spazio per i
testi non costituibili in volumi singoli avrebbe avuto costi che di
necessità implicavano una gestione amministrativa e un tentativo di
accesso a finanziamenti pubblici, con tutto quel che ne consegue: in
rete invece Lo
Stracciafoglio è gratis per chi lo pubblica e di conseguenza
per chi lo legge.
Quante pubblicazioni accademiche dovrebbero avere
lo stesso destino! E quanti soldi pubblici si potrebbero risparmiare
se si valutasse con maggior discernimento quali libri eleggere per
la stampa, i testi soprattutto, destinando alla rete le opere
sussidiarie o provvisorie o del tutto effimere quale la messe delle
pubblicazioni apprestate a soli fini concorsuali. Senza dire degli
atti di convegni: volumi per lo più utili soltanto come testi di
consultazione per i quali una stampa da Internet sostituirebbe le
canoniche fotocopie dell’unico intervento che via via interessa
chi ricorre all’opera per compulsarla. In tempi di strozzamenti
finanziari alla ricerca la rete può rappresentare un mezzo utile a
rendere pubblica a costi minimi la propria attività di studio.
Ma
torniamo allo Stracciafoglio: rivista pensata cartacea e
convertita digitale per ragioni di risparmio; e non soltanto: l’idea
fu anche quella che la rivista avrebbe potuto costituire un veicolo
pubblicitario per il sito della casa editrice che la ospitava. L’internauta
insomma, dopo aver letto e scaricato gratis la rivista, avrebbe
dovuto dare anche un’occhiata al catalogo Res e, incuriosito,
avrebbe anche potuto acquistare qualche libro. La rete dunque,
metafora dalle molteplici declinazioni, in questo caso rappresentava
lo strumento per la cattura di pesci-clienti da attirare con l’esca
della rivista: non si pensava a una mattanza, ma al più modesto
bottino di una lampara. Le cose non sono però andate come si
ipotizzò.
Innanzi tutto Lo Stracciafoglio ha avuto un
successo che è andato molto al di là di quanto si potesse
immaginare: a parte i riconoscimenti ‘indiretti’, ovvero le
segnalazioni già prima ricordate e le citazioni frequenti
(soprattutto da parte degli studiosi del Seicento), le rilevazioni
statistiche dei ‘visitatori’ della rivista hanno fornito,
soprattutto nei primi due anni di attività, dati inattesi e
sconcertanti: una media mensile di lettori che si aggirava intorno
alle mille unità, il frequente scaricamento delle pagine della
rivista, una diffusione planetaria che va ben al di là dei confini
nazionali, per un traffico che vede rappresentati presso che tutti i
paesi europei, gli Stati Uniti per circa il 20%, e poi ancora Sud
America, Australia, etc. Nel contempo tuttavia le vendite dei libri
Res non hanno avuto che un minimo, irrisorio, incremento. La rete ha
maglie ben larghe e i pesci vi entrano ed escono a piacere, non
ritenendo affatto di interessarsi alle offerte commerciali del sito.
E
i pescatori? Anche in questo caso la realtà ha smentito le
previsioni. Si pensava infatti che lo spazio aperto in rete avrebbe
sollecitato proposte e richieste di partecipazione ben al di sopra
di quanto è avvenuto. La natura stessa della rivista, testi
brevemente introdotti, senza pretese di esaustività né nei
commenti né nelle presentazioni, avrebbe dovuto, a nostro credere,
sollecitare le collaborazioni, lo spirito essendo quello di rendere
partecipi delle proprie letture, soprattutto di quelle un po’
peregrine, senza eccedere in seriosità.
Evidentemente non è uno
spirito troppo condiviso perché Lo Stracciafoglio è al
momento in crisi (semplicemente nel senso di un ritardo nella
scansione, che si vorrebbe semestrale, di pubblicazione, ritardo
peraltro divenuto endemico nel campo dei periodici specialistici e
che perciò sempre più apparenta la rivista alle sorelle cartacee)
proprio per mancanza di collaboratori disposti a contribuire
fornendo anticipazioni di più ampi lavori o facendo incursioni in
terreni un po’ infidi, come fin qui si è fatto scovando testi e
autori quasi del tutto ignoti, a commentare i quali ci si deve
avventurare privi di bussole bibliografiche.
Si aggiunga ancora che
per una di quelle sciagure che spesso colpiscono l’Italia (ora
sotto forma di condoni, edilizi o amministrativi che siano, ora di
riforme legislative, scolastiche o universitarie) la sparizione dei
lavori di tesi di laurea ha vanificato un possibile serbatoio di
articoli (proficuamente presente invece nei primi numeri). Ma le
sorprese non si limitano al comportamento di pesci e pescatori: la
rete è luogo imprevedibile. Il digitale Stracciafoglio, i
cui articoli sono già entrati in importanti repertori bibliografici
cartacei, non è invece segnalato, proprio perché edito
esclusivamente on line, in quello che è un fondamentale
repertorio digitale delle riviste di italianistica, ovvero la
lodevolissima iniziativa Italinemo:
paradosso eloquente del caotico e contraddittorio rapportarsi alla
rete del mondo scientifico accademico.
Che
le cose non vadano nella direzione che si prevedeva non comporta
necessariamente che l’idea fosse sbagliata ed essendo la maggior
parte dei redattori piemontesi, e quindi di testa dura, Lo
Stracciafoglio proseguirà senz’altro, anche se si deve
rinunciare all’illusione che esso funzioni da esca pubblicitaria.
Rispetto a una rivista cartacea, come si è detto, non ha costi
finanziari e quindi finché non demorde chi lo fa può avere lunga
vita. Ma vi è un altro vantaggio non trascurabile: le tradizionali
riviste accademiche di italianistica confondono troppo spesso la
serietà con la seriosità e non sono disponibili ad accogliere di
buon grado una scrittura non sufficientemente ammantata di paludata
scientificità. Il tono di talune mie introduzioni a testi editi
nello Stracciafoglio, ad esempio, difficilmente avrebbe
potuto aver luogo, per citare una sede in cui sono frequentemente
ospitato, sul “Giornale Storico della Letteratura Italiana”.
La
pubblicazione digitale presenta dunque margini di libertà
accentuati, sia rispetto ai vincoli economici, sia rispetto a quelli
censorii, o autocensorii che siano. In tali casi, è ovvio, il
rischio è quello di incorrere nella licenza, nell’eccesso, che
nel nostro caso equivarrebbe soprattutto a uno scadimento nella
faciloneria e nella sciatteria. Per questa ragione la cura dei testi
è fondamentale, e lo è egualmente l’organizzazione, molto
rigida, del ‘numero’: un testo di teoria letteraria, un testo di
poesia (lirica, o drammatica, o epica che sia), un testo burlesco o
comunque irriverente (tra l’osceno, lo scatologico, l’anticlericale,
etc.), un inedito pezzo d’archivio e infine un brano in lingua
latina. Il rispetto di questa struttura, cui si aggiungono le due
rubriche critiche, comporta ovviamente la possibilità di ritardi e
certamente non sorprenderà apprendere che sono soprattutto le due
ultime sezioni, il documento d’archivio e il testo latino, quelle
in cui latitano i curatori. Tuttavia a questa rigida impostazione
non si intende rinunciare: l’onere si traduce anche in una
sollecitazione a non abbandonarsi alla via più facile e i risultati
fin qui raggiunti (che gli indici riassuntivi, redatti da Andrea Donnini, possono illustrare al
meglio) confortano in tale scelta.
Il
vero problema, non tanto per Lo Stracciafoglio, quanto per l’editoria
digitale di testi filologicamente curati è quello dell’ormai
necessario passaggio alla progettazione della pagina web in chiave
filologica. Non è pane per i teneri dentini della nostra rivista,
ma è esigenza da porre nel dovuto rilievo. Anni fa tentai di
organizzare un progetto di ricerca ‘cofinanziato’ (termine
burocratico che indica un consorzio tra diverse università) che si
muoveva in tale direzione: sperimentare, attraverso la
collaborazione tra informatici e umanisti, nuove forme di rimandi
filologici concepiti come ipertesti, sviluppando in tal modo sia gli
apparati di varianti, sia i raffronti con le edizioni cartacee
moderne, sia gli interventi congetturali operati sui testi editi in
forma digitale. Il progetto non fu accolto tra quelli “di
rilevante interesse nazionale” come recita la definizione
ministeriale e quindi non poté avere seguito in assenza di
finanziamento.
Tuttavia le sue ragioni a me sembrano ancora valide e
proponibili: la prospettiva è quella di restituire la pagina di
testo nella sua pienezza, senza le opprimenti note a piè pagina che
nelle edizioni critiche cartacee sono cresciute a una misura tale da
soffocare il testo in modo intollerabile; l’ipertesto
consentirebbe di organizzare pagine di testo ‘pulite’ destinando
a vari link tutte le informazioni filologiche necessarie a
ricostruire il processo di costituzione del testo. Lo sviluppo di
tali soluzioni ipertestuali potrebbe anche dar luogo a una pratica
di integrazione tra ambito cartaceo e ambito digitale: le edizioni
cartacee di testi filologicamente curati potrebbero liberarsi di
tutte quelle sovrastrutture paratestuali che sono tra le principali
ragioni che hanno contribuito ad allontanare sempre di più il
lettore non specialista dal tradizionale patrimonio della nostra
letteratura, il più splendido tra quello delle lingue moderne.
Il
dilemma, dibattuto anche nel presente forum, tra digitale e
cartaceo potrebbe in futuro essere risolto, almeno nell’ambito
dell’editoria scientifico-filologica, in una proficua alleanza: il
testo offerto in un libro elegantemente impaginato e piacevole alla
vista, magari con quell’aura “settecentesca” che taluni hanno
riconosciuto nei libri Res, filologicamente inappuntabile ma senza
alcun paratesto di contorno; e insieme un CD ove, secondo standard
il più possibile consolidati, lo studioso che lo desideri trovi
tutto quanto attiene al lavoro di edizione, le famigerate ‘fasce
di commento’ che oggi si prendono quasi intera la pagina e rendono
scoraggiante, ad esempio, la lettura dei testi poetici antichi
insidiati dal magmatico emergere, sempre più in alto fino alle
prime righe della pagina, degli apparati filologici.
Quella
qui prospettata è una forma di sviluppo del libro elettronico che
certamente non potrà avere nello Stracciafoglio il
principale luogo di realizzazione: occorrono infatti sperimentazioni
e collaborazioni non attuabili nella dimensione, che potrei quasi
definire ‘domestica’, della redazione della rivista e del sito
che la ospita. Tuttavia non ci si può nemmeno illudere che i
progetti di ricerca nel campo dell’editoria elettronica di
carattere scientifico debbano prevedere un’organizzazione e un
bilancio finanziario da ente spaziale: il rapporto tra il mondo del
web e la ricerca umanistica universitaria è stato fin qui
condizionato dal prevalere di atteggiamenti estremi, tra diffidenza
o aperta ostilità in certi casi ed entusiasmi dilettanteschi e
sproporzionati in altri.
Si tratta di avviare un modus operandi
più equilibrato che può essere aiutato soltanto dallo svilupparsi
del dialogo tra esperti di informatica e umanisti, per rendere
possibile il quale non si tratterà soltanto di vincere le
reciproche diffidenze, ma soprattutto di arrivare a un adeguamento
dei tempi progettuali: nel nostro mondo, che se non è il peggiore
di quelli possibili pure ci si avvicina considerevolmente, un anno
di lavoro in biblioteca di un giovane studioso esperto di materie
letterarie, per quanto brillante e volenteroso possa essere, è in
genere pagato quanto un mese, o anche meno, di lavoro di un tecnico
informatico, sia pure alle prime armi: tale discrepanza non può non
ripercuotersi sul tentativo di lavori comuni. Lo Stracciafoglio,
come molte altre iniziative analoghe, è finora vissuto
esclusivamente su di un modello di bricolage informatico che
trova inevitabilmente nel supporto Adobe dei files *.pdf il più
semplice mezzo per un trasferimento pressoché senza mediazioni
della pagina cartacea nella dimensione digitale. Credo che non ci si
dovrebbe più accontentare soltanto di questo.
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