Vi lascio con una riflessione da portare sotto l'ombrellone relativa alla notizia che vi riporto in calce. Mi chiedo se la richiesta di parlare italiano nelle moschee sia coerente con la decisione vaticana di ripristinare la celebrazione della santa messa in latino, visto che possiamo forse considerare latino e arabo (classico) come lingue legate profondamente ai rispettivi culti monoteistici.
Che ruolo avrebbero dunque l'italiano e le altre lingue moderne? E qual è il ruolo della politica in tutto ciò. Ci devo riflettere, lo farò probabilmente a mollo in qualche italica spiaggia, che col fresco si ragiona meglio. Buone vacanze.
Fini: "In moschea si parli italiano"Consensi dal mondo islamico. Il ministro ferrero: pensiamo a politiche d'integrazione
FRANCESCA SCHIANCHI
TORINO
«Nelle moschee la predica deve essere fatta in italiano, perché ognuno prega il suo Dio come vuole ma noi abbiamo il diritto di sapere cosa accade lì dentro». Rieti, domenica sera, giornata conclusiva della festa del Secolo d’Italia, il giornale di An. La richiesta del leader del partito, Gianfranco Fini, è esplicita: che gli imam adottino l’italiano nei luoghi di culto perché «dobbiamo sapere se si prega Allah o si semina odio».Il tema è caldo dopo gli arresti di una decina di giorni fa alla moschea di Ponte Felcino, periferia di Perugia: imam e alcuni fedeli che, secondo le accuse, erano impegnati ad addestrare all’uso di armi e a tecniche di combattimento in vista di azioni terroristiche. Così ieri la dichiarazione dell’ex ministro degli Esteri ha fatto parlare: qualche polemica dalla sinistra radicale ma consensi dal mondo islamico. Come quello dell’imam di Firenze Izzedin Elzir: «L’introduzione della predica in italiano è anche uno dei nostri obiettivi. Come Ucoii ci stiamo lavorando», spiega. D’altronde, come precisa l’ex presidente dell’Ucoii Roberto Piccardo, la pratica del sermone bilingue è già usata da tempo in varie moschee.
Posizione conciliante anche da Mario Scialoja, membro della Consulta per l’Islam italiano («la proposta è condivisibile da ogni punto di vista») e, dalla maggioranza, dal deputato dell’Ulivo Khaled Fouad Allam, «pienamente d’accordo» con Fini: «Anche negli altri paesi i sermoni vengono celebrati nella lingua locale». Mentre Ivana Bartoletti, responsabile ds per i diritti civili, pur confessando che «mi piacerebbe che sempre di più si parlasse italiano: ma non lo imporrei per legge», avanza un’altra idea: un albo pubblico degli imam.
Plauso (scontato) dal centrodestra: per il capogruppo al Senato della Lega Roberto Castelli è piacevole constatare che «dopo tante aperture ai paesi islamici, anche Fini abbia capito che bisogna impedire di seminare odio nel nostro paese». Più radicale Maurizio Gasparri (An): «Vanno chiuse pseudo moschee che sono focolai d’odio, varate norme più dure contro crimine e immigrazione».
A criticare la proposta è stata una parte della sinistra, a partire dal ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero: «Nella misura in cui praticheremo delle vere politiche di integrazione per gli immigrati allora sì che diventerà naturale fare il rito islamico in italiano». Come corsi di lingua e formazione degli imam nel nostro Paese. E se Mauro Fabris dell’Udeur punzecchia Fini («capisco che oggi An debba ritrovare l’identità perduta alla ricerca del partito unico del centrodestra»), Gennaro Migliore (Prc) ha definito l’idea «figlia di una paura del diverso».
E ha aggiunto: «Fini si dovrebbe mettere d’accordo con il Pontefice che chiede il ripristino della messa in latino». Un’analogia che non è stato l’unico («con tutto il rispetto») a evocare. Anche il cardinale Giovanni Cheli, ex presidente del ministero vaticano che si occupa di immigrazione, tiepido alla proposta, ha commentato «con quel criterio non si potrebbe nemmeno tornare alla messa in latino...».