Maurizio
Lana Alle origini dell'ebook: il
progetto Xanadu Aspetti della pubblicazione elettronica
secondo Ted Nelson
1.
Premessa | 2.
Ipertesto e docuverso Xanadu | 3.
Xanadu in dettaglio | 4.
L'ipertesto per il lavoro individuale
1.
Premessa
Il termine ipertesto è noto a
tutti. Un po’ meno noto è che fu Ted Nelson ad
inventarlo ed usarlo per primo nel 1965 [1].
Lo stesso Nelson concepì anche l’idea di
Xanadu, un sistema ipertestuale globale di lettura e
pubblicazione di testi letterari. Ancora meno noto è che
Ted Nelson si ricollegava direttamente ad alcuni concetti esposti
da Vannevar Bush nel suo saggio del 1945, As we may think,
in cui presentava una macchina mai realizzata, il memex,
destinata alla gestione di documenti su microfilm e alla loro
connessione su base associativa.
Il tema del libro
elettronico, pur non essendo identificabile con nessun aspetto
dell’opera e del pensiero di Nelson, ha radici che
risalgono fino a Nelson. Infatti gli ebook sono
ipertestuali stanno in librerie online da cui si scaricano per
leggerli, pongono problemi di pagamento di diritti, rinnovano
l’interesse per problemi legati alla proprietà
intellettuale delle opere dell’ingegno, e alla sua difesa:
tutti temi che in varia forma e modo sono presenti negli scritti
di Nelson.
Di qui la convinzione che la conoscenza
dell’opera di Nelson sia utile al dibattito sul libro
elettronico.
Nella pagina di apertura del sito
<www.xanadu.com> si
legge:
PROJECT
XANADU MISSION STATEMENT: DEEP INTERCONNECTION,
INTERCOMPARISON AND RE-USE
Since
1960, we have fought for a world of deep electronic documents--
with side-by-side intercomparison and frictionless re-use of
copyrighted material. We have an exact and simple structure.
The Xanadu model handles automatic version management and rights
management through deep connection. Today’s popular
software simulates paper. The World Wide Web (another imitation
of paper) trivializes our original hypertext model with one-way
ever-breaking links and no management of version or contents.
WE
FIGHT ON
Il
testo della home page di Nelson è ricco di
implicazioni.
Nelson concepisce l’idea
dell’ipertesto pervasivo e globale Xanadu quando il web non
esiste ancora; ma non riesce ad attuarla ed il web inventato da
Tim Berners-Lee di fatto ne costituisce una delle possibili
realizzazioni. Di fronte all’affermazione e diffusione
sempre più capillare del web, Nelson fa resistenza e
proclama che il web non ha nulla di ciò che Xanadu avrebbe
portato (o potrebbe portare).
We fight on dice
molto sulla passione combattiva e vitale che ha animato e anima
tuttora Nelson, passione per un sistema che poteva dare al mondo
intero per la comunicazione, il lavoro intellettuale, la
remunerazione del lavoro svolto, qualcosa di migliore (e in
misura notevole) rispetto a ciò che esiste. Ma in queste
righe si legge chiaramente anche il dispiacere che deriva dal
vedere che il web di Berners Lee[2],
e non Xanadu, costituisce un sistema globale di interscambio
dell’informazione, e l’amarezza di non
poter vedere realizzato ciò che Xanadu prometteva.
Coerentemente con il we fight on, con lo spirito
combattivo che non si arrende mai, Nelson ancor oggi parla di
Xanadu come di un progetto che non si è ancora realizzato
(e si realizzerà in futuro); il resto del mondo in
generale parla di Xanadu come di un progetto che non si è
realizzato (e non si realizzerà). Nelle pagine che seguono
si tratterà di Xanadu da un punto di vista più
vicino a quello di Nelson (senza peraltro venir meno al dovere
intellettuale della valutazione critica di ciò che si
espone): perché Xanadu ha una sua autentica grandezza
concettuale, e anche solo come concetto è pienamente
definito e compiuto.
Theodor Holm Nelson, nato nel 1937,
nel 1960 si iscrisse a Harvard per studiare sociologia e ottenne
il master in Social Relations nel 1963. Proprio a Harvard,
seguendo nel 1960 un corso di computer for the humanities,
concepì l’idea di scrivere un programma in
linguaggio macchina, per l’unico computer disponibile
allora a Harvard, un IBM 7090, che gli permettesse di archiviare
nel computer le sue note e i suoi manoscritti [3],
modificarli, stamparli.
Dopo aver scritto circa 40.000
righe di codice si rese conto che l’impresa era superiore
alle sue forze o, riprendendo parole sue, che aveva scambiato
la vicinanza dell’immagine per la nitidezza della visione.
Per cogliere appieno il senso del tentativo di Nelson occorre
ricordare da un lato che le funzionalità di scrittura che
egli voleva ottenere nel 1960 iniziarono ad essere disponibili al
pubblico solo dagli anni ’80, e dall’altro che egli
non voleva una macchina da scrivere potenziata ma un sistema che
gli permettesse di “cambiare idea” e indirizzare il
pensiero su nuovi percorsi: voleva non solo la libertà di
inserire e cancellare parole e paragrafi, ma anche che il sistema
conservasse traccia di tutte le sue decisioni (historical
backtrack [4]) così
da mostrare le varie versioni alternative del testo.
Nel
1965 tenne una comunicazione (Complex information processing:
a file structure for the complex, the changing and the
indeterminate) al convegno annuale dell’ACM
(Association for Computing Machinery) [5],
nel corso della quale utilizzò per la prima volta il
termine ipertesto e iniziò a concepire il sogno di
Xanadu, un sistema software che egli stesso descrive come
“magico luogo di memoria letteraria” [6]
frutto dell’elaborazione e ampliamento del concetto di
“sistema che tiene traccia delle molteplici versioni di un
documento (e dei suoi legami con altri documenti simili)”,
al centro dei suoi interessi a partire dal 1960. Da quel momento
la vicenda personale di Nelson e quella di Xanadu si intrecciano
strettamente.
Nel 1974, nel suo libro ComputerLib/Dream
Machines, Nelson annunciava che Xanadu sarebbe stato pronto
per il 1976. In Literary Machines, pubblicato nel 1987, la
data di rilascio veniva posticipata al 1988. Nel gennaio del
1988, in un articolo pubblicato sulla rivista Byte, Nelson
prospettava come data per il completamento dello sviluppo di
Xanadu il 1999. In effetti nel 1988 lo sviluppo di Xanadu
ricevette un forte impulso a causa dell’acquisto del
marchio Xanadu da parte di Autodesk, grande azienda
sviluppatrice di software; ma nel 1992 Autodesk si ritirò
dall’impresa restituendo a Nelson il marchio.
Da
allora vi furono sviluppi e presentazioni pubbliche di singoli
componenti del sistema, ma non molto di più: Nelson entrò
in conflitto con buona parte del mondo accademico, industriale,
economico, statunitense e questi mondi in qualche modo si
disamorarono di un progetto affascinante, che prometteva
tantissimo, ma che non produceva nulla di usabile. Wired
pubblicò nel 1995 un articolo [7]
molto ampio e severo, a tratti anche cattivo, su Nelson e su
Xanadu, sul fallimento di Xanadu che sarebbe anche il fallimento
di Nelson, articolo che segnò una sorta di spartiacque. Si
potrebbe quasi leggerlo come la testimonianza di un innamoramento
che si trasforma in odio feroce perché ci sono state
promesse (Xanadu) non rispettate.
Il centro di gravità
dell’attività di Nelson già da qualche anno
si stava spostando fuori degli Stati Uniti: Gran Bretagna
(visiting professor all’Università di
Southampton), Australia (creazione nel 1993 della società
Xanadu Australia), ma soprattutto Giappone. Nel 1994 venne
accolto trionfalmente in Giappone, dove si recò per
dirigere l’Hyperlab di Sapporo costruito per lui da
Hitachi e Fujitsu. Nel 1996 iniziò ad insegnare come
Project Professor di Environmental Information alla Keio
University a Shonan Fujisawa (in quello stesso anno la Keio
University entrava nell’organizzazione di gestione del
web – W3C – come terza sede, accanto all’INRIA
francese e al Laboratory of Computer Science del MIT).
I
contatti con il mondo americano continuarono (e permangono
tuttora) essenzialmente nella forma dei legami con la ACM, mentre
appaiono molto più solidi quelli con il mondo europeo,
anche per il credito che lì gli viene riconosciuto. Basti
ricordare che nel marzo 2001 venne insignito in Francia, dal
Ministro della cultura e della comunicazione, del titolo di
Officier des Arts et Lettres; che è tuttora
visiting professor all’Università di
Southampton; che dal 2003 è visiting professor
all’Università di Nottingham, ed ha tenuto la
lezione inaugurale del convegno Hypertext 03 svoltosi a
Nottingham nell’agosto del 2003. Il suo spirito, estremista e
provocatore, non è mutato. Infatti la lezione tenuta in
apertura di Hypertext 03 si conclude con questo pensiero: “Fifty years of computer tradition
need to be unwound and undone to open the possibilities we have
even ceased to suspect”.
2.
Ipertesto e docuverso Xanadu
Nelson
coniò il termine ipertesto come composto di iper-
e testo.
Hypertext
was an audacious choice: hyper- has a
bad odor in some fields and can suggest agitation and pathology,
as it does in medicine and psychology. But in other sciences
hyper connotes extension and generality, as in the mathematical
hyperspace, and this was the connotation I wanted to give the
idea. [8]
Il
prefisso iper- nelle geometrie non euclidee indica che un
oggetto ha più dimensioni di quelle consuete per la
quotidiana esperienza del mondo fisico: se un cubo nella
quotidiana esperienza del mondo fisico ha 3 dimensioni, un
ipercubo è un cubo che ha 4 o più dimensioni. Allo
stesso modo un ipertesto è un testo che si estende su più
dimensioni di un testo ordinario. Se la dimensione caratteristica
di un testo ordinario su carta è quella della linearità
di lettura, un ipertesto è tale perché si presta a
molteplici letture (il tema dell’ipertesto come non-lineare
o piuttosto multilineare, lungi dall’essere un
arrovellamento di teorici del sistema, è essenziale per
cogliere le caratteristiche profonde dell’oggetto).
Per
ipertesto intendo semplicemente la scrittura non sequenziale. La
composizione di una rivista, con brani sequenziali, figure
inserite riquadri è quindi un ipertesto. E tale è
la prima pagina di un quotidiano, e così vari libri gioco
che si trovano in edicola o in libreria, in cui alla fine di ogni
pagina ci sono scelte che portano ad altre pagine. [9]
I
computer non sono intrinsecamente coinvolti nel concetto di
ipertesto. Ma i computer saranno coinvolti, in ogni modo e in
sistemi di ogni tipo, con l’ipertesto. (Idealmente, tu
lettore sarai libero di scegliere, di volta in volta, con cosa
proseguire la lettura - anche se stanno già comparendo
forme repressive di ipertesto.) Molti considerano queste forme di
scrittura come nuove, radicali e intimidatorie. Comunque, vorrei
sostenere la posizione che l’ipertesto sia fondamentalmente
cosa consueta e parte della nostra tradizione letteraria.
Diversamente
sono andate le cose per docuverso, composto da documento
e universo. Il termine non si è diffuso, forse
anche perché come si vedrà è strettissimo il
suo rapporto concettuale con Xanadu: Xanadu non è giunto
alla realizzazione, e il termine docuverso non si è
affermato.
Il
concetto di docuverso (universo dei documenti) si fonda su due
elementi:
da
una parte la convinzione che nessun documento esistente è
del tutto isolato, privo di legami con uno o più altri
documenti esistenti. I legami possono essere di vari tipi:
versione (un documento è versione più recente o più
remota di un altro documento), citazione (un documento cita un
passo di un altro documento), allusione (un documento allude ad
un altro documento);
dall’altra
l’attenzione al documento più che al testo. Un
documento è un testo storicizzato, fisicizzato,
individualizzato, portatore di una forza espressiva o di azione
che gli derivano proprio dall’essere storicizzato e
fisicizzato. Il testo è una sorta di categoria astratta
che non può esistere se non incarnata in forma di
documento. L’attenzione al testo in quanto documento si
specifica in Nelson anche come attenzione al testo letterario, al
testo frutto di attenzione e cura espressiva, non solo puramente
funzionale o pragmatico, e in effetti il tema del documento
connesso con altri all’interno del docuverso viene
espressamente ricondotto al concetto di letteratura (basti
pensare alla frase citata qui sopra: “vorrei sostenere la
posizione che l’ipertesto sia fondamentalmente cosa
consueta e parte della nostra tradizione letteraria”).
3.
Xanadu in dettaglio
Project
Xanadu, the original hypertext project, is often misunderstood as
an attempt to create the World Wide Web.
It has always
been much more ambitious, proposing an entire form of literature
where links do not break as versions change; where documents may
be closely compared side by side and closely annotated; where it
is possible to see the origins of every quotation; and in which
there is a valid copyright system-- a literary, legal and
business arrangement-- for frictionless, non-negotiated quotation
at any time and in any amount. The Web trivialized this original
Xanadu model, vastly but incorrectly simplifying these problems
to a world of fragile ever-breaking one-way links, with no
recognition of change or copyright, and no support for multiple
versions or principled re-use. Fonts and glitz, rather than
content connective structure, prevail.
Serious
electronic literature (for scholarship, detailed controversy and
detailed collaboration) must support bidirectional and profuse
links, which cannot be embedded; and must offer facilities for
easily tracking re-use on a principled basis among versions and
quotations
Xanalogical
literary structure is a unique symmetrical connective system for
text (and other separable media elements), with two complementary
forms of connection that achieve these functions -- survivable
deep linkage (content links) and recognizable, visible re-use
(transclusion). […]
This
system of literary structure offers uniquely integrated methods
for version management, side-by-side comparison and visualizable
re-use, which lead to a radically beneficial and principled
copyright system (endorsed in principle by the ACM). Though
dauntingly far from the standards which have presently caught on,
this design is still valid and may yet find a place in the
evolving Internet universe.“ [10]
Xanadu
non è un tentativo di creare il web mondiale (world
wide web): sia perché il web esiste già ad
opera di Berners-Lee e del linguaggio HTML; sia perché il
web come oggi lo vediamo, lo usiamo, lo attraversiamo, non ha
nulla a che fare con ciò che Xanadu intende essere. Anzi,
il web ha banalizzato l’originario modello di Xanadu in
quanto “Fonts and glitz, rather than content connective
structure, prevail.” [11]
Xanadu
propone una vera e propria forma di letteratura: Nelson pensa
la letteratura sia nel senso di raccolta organica di testi (come
nella frase: “la letteratura esistente sull’argomento…”),
sia nel senso ‘alto’ di insieme delle opere che
vengono apprezzate per le loro qualità espressive,
estetiche, contenutistiche. Il punto chiave di questa concezione
di letteratura è che ogni testo è parallelo:
per ogni testo esistono varie versioni, per ogni testo esistono
testi simili che ne sono derivati, ogni testo ha testi di
riferimento da cui cita o riprende.
Per questo secondo Nelson è così importante
costruire un sistema che colleghi fra di loro i testi; un sistema
in cui
i
collegamenti non si interrompano quando le versioni del
documento mutano;
i
documenti possano essere confrontati fianco a fianco;
sia possibile vedere l’origine
di ogni citazione;
esista un valido sistema di
copyright (nelle sue componenti letteraria, legale, economica);
sia
possibile connettere in modo simmetrico testo e altri tipi di
media [12];
sia
possibile gestire differenti versioni di un documento e vederle
fianco a fianco;
siano
possibili collegamenti profondi [deep linkage, content links]
che non si guastano, e ri-uso riconoscibile e visibile
[transclusion] dei contenuti;
i
collegamenti siano bidirezionali [13]
e numerosi [profused];
sia
possibile individuare una nuova versione di un documento o una
sua citazione.
Per
Nelson la maggior parte dei programmi (come la maggior parte
della gente) tende ad essere ingenua a proposito dei documenti, e
li tratta come se fossero indipendenti e isolati, quando invece
la chiave di tutto è nel fatto che i testi sono paralleli.
Il tema dei documenti collegati, dei documenti paralleli è
talmente centrale che, scrive Nelson, “Side-by-side
connected comparison of parallel documents on the computer screen
has always been Xanadu’s fundamental visualization, first
published in our 1965 paper” [14].
Fundamental visualization sia nel senso che essa è
al centro del funzionamento del sistema (se Xanadu non fosse in
grado di offrire questa visualizzazione mancherebbe uno scopo
essenziale), sia nel senso che essa è sempre presente
nelle presentazioni pubbliche del sistema.
La prima
immagine di Xanadu (1972) è un mock-up (immagine
artificiale costruita prima che Xanadu esistesse anche solo in
forma di prototipo), [15]
che mostra una singolare somiglianza con
l’idea del memex di Bush.
Anche
là c’erano due schermi, che servivano tra l’altro
a rendere possibile l’indicizzazione associativa anche su
base visiva [16]. Per
Nelson il centro dell’attenzione è il testo, e il
testo parallelo. Così i due schermi della prima
simulazione presentano due schermate di testo parallele (o che
sono visivamente suggerite come tali per i collegamenti che
visibilmente collegano l’una all’altra).
In
quest'altra immagine [17]
appare, in un contesto visivo differente, lo stesso concetto dei
testi collegati.
Si
tratta di una versione dimostrativa di transpointing windows
in Xanadu, realizzata nel 1998 per il sistema operativo Windows95
da Ian Heath e Nelson stesso. Non vengono mostrati due testi
paralleli, ma tre finestre di testo con linee diagonali che
evidenziano visivamente i legami di ripresa testuale fra parti di
tre blocchi di testo differenti (uno per
finestra).
Nell’immagine che mostra le transpointing
windows di Xanadu nella versione per il sistema operativo
Unix realizzata nel 1999 da Ka-Ping Yee vengono
mostrati due testi paralleli (due versioni della Dichiarazione
d’indipendenza dei primi 13 stati americani) con una
serie di transpointing links. Le sezioni in colore
identificano segmenti di testo: medesimo colore significa
corrispondenza di segmento testuale nelle due versioni; una linea
diagonale che collega una sezione in colore del testo di sinistra
con una sezione nel medesimo colore nel testo di destra evidenzia
visivamente la corrispondenza già indicata dal colore e
dalla somiglianza – o identità – dei segmenti
di testo. La corrispondenza con l’immagine immaginata
del mock-up è grande.
Nella descrizione di
queste raffigurazioni del concetto di documenti paralleli
ritornano le espressioni di Nelson, non traducibili in italiano,
transpointing links e transpointing windows. Il
tema complicato, che è forse la causa prima dell’arenarsi
di Xanadu, è proprio quello espresso dal prefisso trans-.
Un passo del documento B citato nel documento A non può
essere trattato come inclusione, perché in tal caso
perderebbe la sua identità di passo del documento B, non
potrebbe rinviare, riportare al documento B di cui fa parte. Deve
essere invece trattato come transclusione cioè come
testo che pur trovandosi nel documento A non perde i suoi legami
con il testo B [18]. Quindi
un transpointing link è un collegamento (link) che
indica una transclusione.
Da tutto ciò derivano
alcune conseguenze:
1. che in presenza del passo si potrà
andare dal documento A al documento B 2. che il documento B
‘saprà’ di essere citato nel documento A 3.
che chi deve pagare dei diritti di copyright per l’accesso
al documento A pagherà anche in proporzione una particella
di diritti per l’accesso al passo del documento B.
Il
punto 1 è ovvio: è quel che accade in qualsiasi
ipertesto.
Il punto 2 avrà come effetto che i
collegamenti non saranno più “one-way ever breaking
links” come quelli del web (cfr. qui sopra il testo della
home page di Nelson) in quanto esiste la possibilità di
una ‘manutenzione del collegamento’, che non lo
lascia cadere né permette che esso si guasti.
Il
punto 3 è di capitale importanza. Se Nelson pensa non solo
a documenti che contengono testi d’uso ma anche a documenti
che contengono testi coperti da diritti (tipico caso quello delle
opere letterarie) si pone il problema del pagamento, da parte chi
legge un’opera, dei diritti ai proprietari del copyright.
O, in termini più precisi in rapporto al pensiero di
Nelson: del pagamento dei diritti in proporzione alla quantità
di opera letta. Infatti , dal punto di vista dei diritti, non
può essere la stessa cosa leggere 2 pagine di un’opera
oppure leggerla tutta per esteso. Oggi il problema non si pone
ancora con evidenza; ma è chiaro che deve porsi nella
prospettiva di Nelson. Se non si ponesse, sarebbe come se
esistesse una sorta di enorme libreria online dove chiunque può
entrare, può leggere tutti i libri che desidera e poi
andarsene soddisfatto; e chi ha costituito quella libreria, e gli
autori, non ne trarrebbero giovamento. Un modello simile
riportato alla realtà del mondo fisico vedrebbe le
librerie trasformate in sale di lettura gratuite.
Pur
senza dimenticare che esistono fondate posizioni a difesa della
caduta del copyright nel mondo digitale (la convenienza economica
per l’ ‘archivio’ - libreria o mediateca - non
dovrebbe derivare dal pagamento dei clienti visitatori per la
fruizione dei beni culturali – libri, musica, immagini…
– ma dai servizi connessi: funzioni di ricerca sul bene,
creazione di contatti con altre persone che si interessano allo
stesso argomento, e simili) l’idea di Nelson è
rigorosa ma anche difficile da attuare.
Il pagamento
automatico dei diritti (automatico perché il
micropagamento per il passo di B citato in A ‘scatta’
per il fatto stesso che il passo compare a schermo) implica che
esista un sistema globale capace di gestire i pagamenti, e che
gli aventi diritto sul testo B e sul testo A, nonché
l’ipotetico generico lettore di B che deve pagare anche una
particella di diritti agli aventi diritto su A, tutti siano
‘iscritti’ in qualche modo al sistema globale di
pagamenti elettronici. Anche immaginando per il lettore una sorta
di carta prepagata a scalare, almeno gli aventi diritto sui
documenti A e B devono essere effettivamente collegati al sistema
globale di pagamenti. Oppure il sistema globale di pagamenti deve
essere in grado di svolgere una funzione di banca: raccogliere i
pagamenti dei diritti sui documenti A e B e poi periodicamente
versarli agli aventi diritto.
E’ chiaro che oltre al
problema tecnico di far scattare in modo corretto e automatico i
pagamenti (basato sul funzionamento della transclusione), esiste
un enorme problema di standardizzazione del sistema dei
pagamenti. Di fronte a tutto questo e ad altri problemi lo
sviluppo di Xanadu si è arrestato. Se per ora o per sempre
è difficile dire. Nelson ha comunque continuato la sua
attività sviluppando in questi ultimi anni altro software
(CosmicBook) [19] e
definendo nuove strutture di dati (ZigZag) [20].
4.
L’ipertesto per il lavoro individuale
L’interesse
per l’ipertesto nasce per Nelson, come si è visto,
dall’esperienza del 1960 sul programma di scrittura capace
di tenere traccia delle varie scelte compositive dell’autore
di un testo. Occorre ricordare che Nelson aveva un diploma in
filosofia, stava studiando per laurearsi in scienze sociali, e
uno dei suoi primi lavori fu un insegnamento di sociologia al
Vassar College: in altre parole la formazione di Nelson era
eminentemente umanistica e coerentemente con questa formazione
egli pensava uno strumento fatto per chi scrive testi complessi,
che prima della pubblicazione passano attraverso un lungo, e
talora tedioso nei suoi aspetti pratici, lavoro di revisione. Ciò
che doveva facilitare il lavoro e rendere facilmente fruibile il
meccanismo di historical backtracking
erano i collegamenti, dei quali così parla Nelson in
riferimento a Xanadu:
[the
system] allows you to see alternative versions on the same screen
on parallel windows and mark side by side what the differences
are. Not by scanning but by analysis of data structure. Now the
system I started designing in the 1960s, allows you, would have
allowed you, will allow you to see connections between the
contents of different windows, like rubber bands between the
middles of the windows. [21]
Nell’idea
di Nelson, finestre parallele permettono di vedere fianco a
fianco due versioni di un medesimo documento, con collegamenti
che evidenziano visivamente (like rubber bands) i passi
omologhi. Si tratta di uno strumento adatto prima di tutto alle
modalità del lavoro dello studioso o dell’autore
letterario (Nelson tratta questo argomento ricorrendo al termine
literature che indica contemporaneamente la letteratura in
senso proprio e l’insieme dei testi pubblicati su un dato
argomento scientifico):
Serious
electronic literature (for scholarship, detailed controversy and
detailed collaboration) must support bidirectional and profuse
links, which cannot be embedded; and must offer facilities for
easily tracking re-use on a principled basis among versions and
quotations.
[…]
any piece of writing evolves to the very end of its creation. And
the real issue is how can we hold partially organized materials
for inter-comparison.
[22]
Nella
logica di Nelson l’ipertesto permette di creare strutture
che rappresentano (che mappano) correttamente qualsiasi cosa, ed
è particolarmente adatto quando ciò che si vuole
rappresentare ha natura e contenuto non gerarchico:
To
me hierarchy is a special case. I don’t say that
hierarchies are always invalid, it’s just that because
they’re so convenient they’ve been used too much. And
they represent many things very badly... So hierarchy is fine
where it correctly and appropriately matches up. And forcing it
where it doesn’t is wrong. So the whole point is create the
structures that map correctly whatever you do. And if you’re
mapping thought or trying to present ideas, the likelihood that
they are non-hierarchical is greater. [23]
L’ipertesto
quindi è concepito come modalità di lavoro aperta,
vicina a quel che accade nel mondo reale quando esso sia un mondo
anch’esso aperto:
Non
esiste l’Ultima Parola. Non può esistere la versione
finale di qualcosa, l’ultimo pensiero. C’è
sempre un nuovo punto di vista, una nuova idea, una
reinterpretazione. E la letteratura, che noi proponiamo di
trasporre su supporti elettronici, è un sistema per
salvaguardare la continuità alla luce di questo fatto […]
Ricordatevi l’analogia fra il testo e l’acqua.
L’acqua scorre liberamente, il ghiaccio no. I documenti
vivi che scorrono liberamente attraverso la rete sono
continuamente soggetti a nuovi utilizzi e all’aggancio di
nuovi collegamenti, e questi nuovi collegamenti sono sempre
disponibili per l’interazione. Ogni copia separata dal
sistema è invece fredda e morta, manca di qualsiasi
accesso ai nuovi collegamenti. [24]
In
Nelson dunque l’ipertesto non ‘tiene in ordine i
concetti’, non è risorsa a cui ricorrere quando
altri mezzi per tenere in ordine i pensieri non sono più
all’altezza, come pensava Engelbart che aveva scritto:
Dapprima,
finché non sono troppo numerosi, i concetti possono essere
conservati sotto forma di lista ordinata su un supporto esterno
che aiuti permettendone una disposizione spaziale schematica; ma
oltre un certo livello di complessità di inter-relazioni
non si può più fare affidamento sulla sola
disposizione in schemi ordinati e si deve ricorrere ad
associazioni e collegamenti più astratti. [25]
Ma
sia Nelson sia Engelbart individuano come questione critica,
a cui l’ipertesto dà risposta appropriata, quella
della natura non gerarchica, reticolare, (apparentemente)
disordinata, di molti insiemi di dati e conoscenze, quale che ne
sia il livello di importanza.
Chieri, 28 settembre 2003
© Copyright 2003-2004 Maurizio Lana, Torino
Vietata ogni riproduzione se non autorizzata dall'autore
(scrivere a redazione@italianisticaonline.it)
[1]
Scrive di sé Nelson nella pagina
Who I am, consultabile online, URL
<http://ted.hyperland.com/whoIam/>:
Best known for: coining terms "hypertext" and
"hypermedia," 1963 (first published 1965) [and]
"docuverse" (1981).
[2]
Il world wide web è stato
inventato da Tim Berners-Lee; o meglio, Berners-Lee ha inventato
il linguaggio di programmazione che ha permesso la creazione del
web.
[3]
Su queste notizie, che circolano in rete
semplificate e talora un po’ di distorte, una fonte
autorevole è H. Rheingold, Tools for Thought,
Cambridge, MIT Press, 2000, p. 300.
[5]
T. Nelson, Complex information processing:
a file structure for the complex, the changing and the
indeterminate, in Proceedings of the 20th ACM National
Conference 1965, pp. 84-100.
[6]
Literary machines, trad. it. Literary
machines 90.1, Padova, Muzzio, 1992 p. 1/29.
[8]
Th. H. Nelson, Literary Machines,
Mindful Press, Sausalito, 1992, p. 49.
[9]
Th. H. Nelson, Literary Machines 90.1,
trad. it Franco Muzzio, Padova, 1992, p. 1/17.
[10]
T. Nelson, Xanalogical structure, needed now more than
ever: parallel documents, deep links to content, deep
versioning, and deep re-use, in “ACM Computing
Surveys” (CSUR), 31/4, dicembre 1999, summary; ed.
online,
<http://www.cs.brown.edu/memex/ACM_HypertextTestbed/papers/60.html>.
[11]
Ad essere precisi, in realtà, il web delle origini
nella forma in cui era uscito dalla mente di Berners-Lee, non
prevedeva in alcun modo fonts and glitz, “caratteri
e brillantini”, bensì proprio solo content
connective structure, “struttura di connessione dei
contenuti”. Prova ne è il fatto il linguaggio HTML,
senza il quale il web non potrebbe esistere, nella versione 2
non prevedeva alcuna possibilità di scegliere molteplici
stili di carattere (fonts, polizze) per le pagine web; né
tanto meno la possibilità di includere nelle pagine web
animazioni di vario tipo; e già nel 1998 Berners-Lee
scriveva: “for all the fancy HTML we have nowadays, there
is some immediacy we have lost”
(<http://www.w3.org/DesignIssues/Editor.html>).
Oggi, nella versione 4 del linguaggio HTML, fonts and glitz
sono disponibili a tutti sulle pagine web.
[12]
Si immagini una pagina di critica
cinematografica in cui viene commentata una sequenza di un film:
il testo e il brano del film, benché interconnessi –
il testo rimanda al film, e il film rimanda al commento –
sono distinti.
[13]
Attualmente, nel web, costruire un
collegamento dal punto A al punto B non implica che per ciò
stesso esista (o venga creato) anche il collegamento di ritorno
dal punto B al punto A.
[14]
T. Nelson, Xanalogical structure cit., p. 3 della
versione online.
[15]
Questa immagine apparve per la prima volta in
Th.H. Nelson, As We Will Think, in Proceedings of
Online 72 Conference, Brunel University, Uxbridge (England),
1972. Con le altre immagini di Xanadu qui riportate comparve
successivamente nell’articolo di Nelson per ACM Surveys,
Xanalogical structure cit.
[16]
Cfr. Bush: “Poiché l’utente
ha a disposizione diversi visori, può lasciare un libro
proiettato su uno di essi mentre ne richiama un altro […]
quanto descritto è un primo passo verso l’indicizzazione
associativa, l’idea fondamentale che una informazione può
essere correlata a una qualunque altra. Questa è la
caratteristica fondamentale del memex: il processo di connettere
due elementi è la cosa importante."
[17]
Le immagini riportate qui di seguito,
relative a parti del sistema Xanadu non significano che esista o
sia mai esistito un sistema software completo e funzionante.
Esse derivano dalla costruzione di singoli componenti del
sistema, effettuata per scopi di studio e approfondimento delle
problematiche inerenti al sistema stesso, o per scopi di
presentazione pubblica (una simulazione funzionante di una parte
del sistema aiuta nella presentazione del sistema ad un pubblico
non esperto).
[18]
Di per sé si tratta di un meccanismo
ben noto già esistente e funzionante in Word chiamato DDE
(Dynamic Data Exchange): quando si inserisce un’immagine
in un documento d con il comando Inserisci | Immagine |
Da file, la finestra di dialogo che si apre permette di
scegliere se l’immagine deve essere effettivamente
inserita nel documento d (inclusione) o se si deve
inserire nel documento d un collegamento all’immagine
(collegamento; simile alla transclusione). Con il collegamento
eventuali modifiche apportate all’immagine dopo
l’inserimento nel documento d si rifletteranno
nell’immagine inserita nel testo. Quel che di fatto non è
gestito dal meccanismo DDE è la ‘consapevolezza’,
da parte dell’immagine, dell’essere inserita in un
documento, cosi ché il tentativo di cancellare il file
che contiene l’immagine dia luogo ad un avviso che informi
del guasto che si causerebbe al documento d.
[22]
Th. H. Nelson, Xanalogical Structure
cit.
[23]
Th. H. Nelson in Th. Bardini, cit.
[24]
Cit. da George P. Landow, L’ipertesto.
Tecnologie digitali e critica letteraria, Milano, Bruno
Mondadori, p.112.
[25]
D. C. Engelbart, Special considerations of
the individual as a user, generator, and retriever of
information, in “American Documentation”, 12/2,
1961, pp. 121-125.
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