Conferenza
virtuale


   


Il libro elettronico 
e l'editoria digitale umanistica in Italia 


   

(30/09 - 30/11 2002


    Italianistica Online > E-book Italia Forum 2002 > Relazioni > Giuseppe Regalzi

   


ideata, promossa e coordinata da Luigi M. Reale

in collaborazione con
l'Area Convegni di
365 Giorni in Fiera

(Fiera Internazionale del Libro di Torino)
direttore editoriale
Luciano Simonelli

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Nuovo conteggio
dal 16 ottobre 2001

Giuseppe Regalzi
Vino vecchio in otri nuovi. La letteratura scientifica nell'era dell'e-book


La morte del libro è una notizia che si è rivelata ampiamente esagerata. Mentre il futuro del libro a stampa potrebbe in effetti essere a rischio – ma soltanto, direi, se si realizzassero le promesse dell’e-paper o dell’e-ink[1] – il futuro del libro in quanto testo, cioè successione lineare di segni grafici, sembra invece assicurato. Man mano infatti che si vanno accumulando le prime esperienze concrete dell’editoria digitale, appare sempre più chiaro come link ipertestuali e contenuti multimediali possano arricchire, ma non rivoluzionare la struttura dei nostri testi: elettronici sì, ma pur sempre libri.[2]

Il futuro assomiglierà dunque al passato? Più scintillante, magari, con ‘libri’ dalle pagine di plastica flessibile, con filmati al posto delle immagini, con collegamenti ipertestuali, ma per il resto sostanzialmente invariato? Non proprio.

Le tecnologie non hanno solo effetti diretti; al di là degli ultimi gadget, ai quali resta incatenato lo sguardo di tecnofili e tecnofobi, sono le conseguenze indirette le più importanti, quelle che vale la pena di indagare. E le tecnologie combinate del libro elettronico e di Internet possono produrre degli effetti collaterali imprevisti ed estremamente interessanti.

Consideriamo per esempio un fatto ben noto: il costo marginale di un e-book distribuito attraverso la rete (cioè il costo che si sostiene per produrne una copia in più) è a tutti gli effetti pratici uguale a zero;[3] e copiare un file è tecnicamente alla portata di ciascuno. Ciò sembra avere per autori ed editori orientati al mercato soprattutto conseguenze indesiderate: le copie pirata gratuite ne mettono i diritti a repentaglio, obbligandoli a ricorrere a quella triste panoplia di file criptati, formati chiusi, licenze d’uso, password, che finirà essa stessa per ammazzare nella culla il libro elettronico commerciale prima ancora che ci riesca qualsiasi pirata. Del resto, è difficile immaginare un sistema di salvaguardia ragionevolmente semplice che sia anche del tutto sicuro: una volta che i dispositivi di lettura per e-book avranno eguagliato l’ergonomia del libro a stampa tradizionale, sembra inevitabile che per i libri si ripeterà ciò che oggi succede nel mondo della musica, da Napster a Gnutella; e non è poi troppo azzardato immaginare come esito ultimo un futuro di neo-dilettantismo, con gli autori costretti a cedere le proprie opere gratuitamente e a campare di donazioni o – in caso di successo – di letture e incontri pubblici, copie autografate (su carta!), e diritti di sfruttamento cinematografico (se il cinema non subirà la stessa sorte, naturalmente...).

L’editoria accademica sembrerebbe afflitta dalle stesse preoccupazioni, almeno a giudicare da molte delle iniziative fin qui avviate, con i loro accessi severamente sorvegliati, le connessioni sicure per il pagamento con carta di credito, e così via. È vero che i lettori sono abituati a consultare riviste e monografie scientifiche in biblioteca, sicché possono lasciar gestire ad altri i sistemi di salvaguardia del copyright; ma è certo un’ironia che nell’epoca della Rete onnipresente si debba affrontare un viaggio anche di centinaia di chilometri per andare a consultare un libro elettronico. Prima o poi, suppongo, le biblioteche locali saranno in grado di offrire qualche analogo del prestito inter-bibliotecario anche per gli e-book di interesse più esoterico; ma questo comporterà una ristrutturazione profonda del sistema. Il fatto che i prezzi dei libri e delle riviste scientifiche restino relativamente alti anche nelle versioni digitali non contribuisce certo a facilitare la transizione.

Molti ricercatori (e molti manager della ricerca) soffrono di una curiosa cecità nei confronti di un fatto fondamentale: l’effetto collaterale della tecnologia – la riproducibilità infinita e gratuita dei testi – non entra in collisione con l’interesse dell’autore di saggi e articoli scientifici, come nel caso di chi scrive allo scopo di trarre di che vivere dall’esercizio delle arti letterarie; al contrario, la tecnologia e l’interesse degli autori si muovono qui nella stessa direzione. Un ricercatore non scrive i suoi saggi per le royalties: le riviste scientifiche non pagano nulla, come si sa, e anche le monografie molto raramente raggiungono tirature degne di nota; solo gli autori dei manuali più fortunati possono ricevere qualche soddisfazione economica. Un ricercatore scrive per stabilire e consolidare la propria reputazione presso i suoi pari; scrive per essere notato e apprezzato. La possibilità di raggiungere il più alto numero possibile di lettori, che verrebbe garantita dalla distribuzione gratuita in rete, non è un problema ma un’opportunità.

Quando alla fine dello scorso anno abbiamo deciso di distribuire gli atti di un piccolo convegno di orientalisti, l’organizzatrice (dott.ssa Chiara Peri) ed io non abbiamo avuto alcuna esitazione nello scegliere la formula dell’e-book gratuito. Certo, la nostra era un’iniziativa modesta (i relatori erano quasi tutti studiosi alle prime armi, e il convegno autogestito), ma proprio per questo non c’era ragione di rinunciare anche solo alla possibilità di una diffusione più ampia.

Nella prefazione a quegli atti[4] elencavo alcuni dei vantaggi offerti dalla distribuzione gratuita in rete. In gran parte gli stessi vantaggi sarebbero garantiti anche dagli e-book a pagamento – ma già il solo fatto di imporre un costo limita fatalmente la capacità delle biblioteche di tenere testa al flusso delle pubblicazioni, soprattutto se si tiene conto delle tendenze inflative determinate dalle concentrazioni editoriali in corso (i monopoli e gli oligopoli non affliggono solo i mass media!), che sembrano riguardare anche le edizioni digitali. I costi esistono, ovviamente: sembra improbabile che il volontariato possa arrivare ovunque. Ma una gestione corretta del processo editoriale e l’impiego di software più adeguati degli attuali potrebbero contenere le spese entro la portata dei contributi normalmente messi a disposizione dagli enti di ricerca.

Segnalavo in quell’occasione come la letteratura scientifica possa essere messa in questo modo a disposizione del pubblico generale, che è quello che ne paga in ultima analisi il conto. L’affermazione può sembrare troppo ottimistica per quanto riguarda le tendenze attuali del «pubblico generale»; ma con questa espressione non mi riferivo a tutto il pubblico; e solo un pessimismo di maniera può minimizzare le esigenze culturali che sono presenti (o possono essere suscitate) all’interno del pubblico. Aggiungerei che esiste anche un pubblico accademico che per ragioni economiche non ha oggi accesso al meglio della produzione scientifica mondiale: per i ricercatori del Terzo Mondo (e di riflesso, per i loro paesi) l’accesso gratuito sarebbe d’interesse vitale.

Ma il beneficio maggiore, va ripetuto, rimane quello del ricercatore che rende disponibili nella maniera più ampia le proprie pubblicazioni. Non insisterò qui ad elencare argomenti e a suggerire strategie: meglio di chiunque altro lo ha fatto Stevan Harnad, in una lunga serie di interventi.[5] Certo, non sfuggirà come tematiche di questo genere siano nate e vengano più intensamente dibattute in un mondo, quello anglosassone, dove alta mobilità degli studiosi e criteri aperti di valutazione rendono particolarmente vantaggiosa la disseminazione dei propri risultati scientifici. Nell’università italiana il candidato locale già destinato a vincere il concorso bandito dalla sua alma mater rimarrà ovviamente più freddo di fronte a certe possibilità: è già conosciuto a sufficienza da chi lo deve giudicare. E tuttavia un interesse disinteressato a far conoscere i propri risultati, a non rendersi irrilevanti, a ricevere critiche costruttive, sopravvive in quasi tutti i cuori: c’è qualcosa di più, nella vita scientifica, del mero «fare punteggio».

Per riviste e monografie elettroniche vale dunque il principio che se il contenuto (e il formato in cui viene espresso) non si discosta poi molto da quello tradizionale della stampa, la novità del contenitore fa sì che le forme di distribuzione possano e debbano risultare estremamente innovative. Cosa accade invece nell’era dell’e-book agli strumenti e ai sussidi eruditi, alle opere di consultazione per ricercatori? È quanto vorrei esaminare più in dettaglio nel seguito.

Nelle forme rivolte al grande pubblico le «opere di riferimento» sono state da sempre ritenute le più idonee alla digitalizzazione. Per questi titoli, spesso necessariamente ingombranti (e di conseguenza costosi), nonché soggetti a una rapida obsolescenza, il ricorso al digitale è sembrato un modo di eludere quella che potremmo chiamare la Sindrome Treccani: per la quale si è costretti a consultare oltre all’enciclopedia l’aggiornamento, e l’aggiornamento dell’aggiornamento, e l’aggiornamento dell’aggiornamento dell’aggiornamento... Niente liste imbarazzanti di corrigenda, inoltre, aggiunte all’ultimo momento utile in qualche pagina semi-nascosta.

Nella realtà le cose vanno un po’ diversamente, com’è noto: le versioni digitali vengono distribuite più che altro in Cd-Rom o Dvd, il che ne limita le potenzialità – ma spesso non i prezzi –mentre la conversione in siti web a pagamento non ha per molti motivi incontrato il favore del pubblico (si pensi all’esperienza dell’Encyclopaedia Britannica). Nel complesso comunque l’editoria digitale ha qui uno dei suoi punti di forza; e non c’è ragione di ritenere che le cose debbano andare diversamente per quello che riguarda le opere di consultazione erudite.

Se ci poniamo anche per questo settore il problema di quale struttura assumeranno gli e-book, la risposta non sarà molto differente da quella che ci siamo dati al principio. Esaminiamo per esempio il Comprehensive Aramaic Lexicon,[6] una meritoria iniziativa in rete dello Hebrew Union College di Cincinnati. La consultazione viene eseguita attraverso i tradizionali campi in cui digitare la parola cercata, che in questo caso non solo hanno l’usuale aspetto dimesso, ma sono anche scomodi: bisogna utilizzare uno schema di traslitterazione della lingua semitica non molto intuitivo (immettere direttamente i caratteri in uno degli alfabeti originali sarebbe tecnicamente impegnativo a monte, e non semplificherebbe affatto le cose a valle); qualcosa di analogo succede con la versione elettronica del Liddell-Scott[7] del Progetto Perseus. È evidente che la soluzione tradizionale di un dizionario a stampa è imbattibile per quello che riguarda la praticità d’uso. Le pagine web mal si prestano allo scopo: abbiamo bisogno di e-book che ricalchino più da vicino la struttura tradizionale del libro di carta, integrata e non sostituita dalle funzioni di ricerca. Penso che il discorso si possa estendere a molti altri tipi di testo di consultazione; farei un’eccezione solo per le concordanze, che in forma cartacea non possono emulare le possibilità di quelle digitali. Naturalmente la mole di molte di queste opere rende difficile per adesso la presentazione in forma di e-book, a causa delle limitazioni nella velocità delle connessioni e nella capacità dei dispositivi di memoria oggi disponibili; ma prima o poi ci si arriverà – anche se indubbiamente ci vorrà molto, molto tempo prima di poter scaricare dalla rete Aufstieg und Niedergang der römischen Welt...

Questo non vuol dire naturalmente che la tecnologia digitale non renda fattibili cose difficili o impossibili per la tipografia tradizionale; proporrò qui due esempi tratti dal mio campo di studi, l’ebraistica, ed uno che riguarda il campo più generale della storia del Vicino Oriente antico.

Come si sa, la maggior parte degli studiosi moderni ritiene che il Pentateuco non sia opera di Mosè, ma che fonda invece assieme diversi documenti originariamente separati, benché dal contenuto più o meno parallelo. Si pone pertanto il problema di segnalare al lettore i fili strettamente intrecciati che compongono il testo tràdito, anche per facilitare l’intelligenza di passi spesso pieni di contraddizioni altrimenti insanabili. L’unico sistema sembra quello di utilizzare vari colori come sfondo per il testo; e infatti fu questa la soluzione adottata da Paul Haupt e collaboratori a cavallo fra Otto e Novecento, in quella che si chiamò popolarmente The Polychrome Bible.[8] Si tratta chiaramente di un compito impegnativo, se eseguito con i mezzi tradizionali; è anche per questo che la Bibbia di Haupt è rimasta incompleta, senza trovare mai sostituti, e si disintegra oggi sugli scaffali più alti delle biblioteche universitarie. Ma il compito diventa banale se l’edizione si smaterializza: è quanto ho fatto io stesso, preparando una versione di prova (limitata alla Genesi, e per ora solo in formato Html) di quella che mi piacerebbe chiamare The Polychrome eBible, e che spero di mettere prima o poi in rete: un servizio utile, credo, perfino per quelli che rifiutano la validità dell’ipotesi documentaria.

Il lessico della lingua ebraica è costruito attorno a una serie di radici che sono in genere facilmente identificabili; a tal punto che il miglior vocabolario della lingua classica riunisce i lemmi per radici, non in ordine alfabetico. La cosa risulta preziosa per identificare il senso di parole di rara attestazione, comparandole con altre derivate dalla stessa radice; ma capita naturalmente che in alcuni casi la radice non sia facilmente identificabile; e scoprire dove Brown, Driver e Briggs abbiano mai rubricato la parola in questione diventa un compito decisamente snervante. Si potrebbe immaginare allora un dizionario elettronico ‘a geometria variabile’, in cui l’ordine dei lemmi vari a un comando: alfabetico, per radici, inverso, etc., sempre conservando in ogni caso l’impianto visivo tradizionale.[9]

In una nota finale alla prefazione del suo manuale Antico oriente. Storia società economia,[10] Mario Liverani scriveva:

La parte «illustrativa» (tavole, figure, inserti documentari) è piuttosto da intendersi come una parte «documentaria», che affianca funzionalmente l’esposizione continua Per ampia che sia, questa parte documentaria non può che essere esemplificativa ed occasionale. Ad altro livello di approfondimento (e a ben altra disponibilità di spazio) si collocherebbe il progetto di corredare il testo di materiali illustrativo-sintetici in maniera sistematica, di trasformare cioè una storia-«racconto» in una storia-«tabella». Personalmente ritengo che si debba procedere in questa direzione, ma penso che i tempi non siano ancora maturi.

Mi sembra che la possibilità di inserire link attivi in un testo elettronico avvicinerebbe la maturità dei tempi per un’impresa di questa portata. E una volta superate le limitazioni tecniche di cui dicevo sopra, anche la «disponibilità di spazio» apparirebbe un problema molto più trattabile, se si abbandonassero gli atomi a favore dei bit.

Ma come per le monografie e le riviste scientifiche, anche per gli strumenti di ricerca e i sussidi eruditi gli effetti più profondi e fecondi del progresso tecnologico sono quelli collaterali, che investono il modo stesso di organizzare e fare ricerca.

Concentriamoci sulla possibilità, offerta dall’avvento del libro elettronico, di aggiornare costantemente e a costo limitato i testi prodotti. Un’opera di consultazione rappresenta sempre una sintesi della ricerca passata e presente: pensiamo, solo per fare un esempio, al SAHD (The Semantics of Ancient Hebrew Database), un dizionario dell’ebraico classico che ha per scopo principale quello di raccogliere per ciascun lemma tutte le interpretazioni più significative proposte in passato. Benché per questa iniziativa sia prevista una data di completamento, un aggiornamento continuo ne costituirebbe lo sviluppo più logico, tanto più che del database esiste una versione consultabile on-line.[11] Sarebbe naturale, per ogni autore di un’opera come questa, tener conto dei nuovi risultati della ricerca man mano che vanno apparendo, per salvare da una rapida obsolescenza il risultato delle proprie fatiche. Ovviamente, a questa tendenza se ne contrappone un’altra: quella che quasi inevitabilmente finisce per far sbottare con un sonoro «Non ne posso più!» chiunque si sia dedicato per un periodo troppo prolungato a uno stesso compito erudito. Ma già adesso le opere di maggior respiro sono il frutto di sforzi collettivi, oppure vengono ereditate col tempo da forze più fresche; istituzioni scientifiche importanti si fanno carico di coordinare e dare continuità a questo genere di imprese.

La possibilità di un aggiornamento costante porterebbe dunque quasi inevitabilmente l’autore o gli autori del dizionario (o commentario, o edizione critica, o raccolta di fonti) a effettuare uno spoglio costante, tempestivo e sistematico della letteratura corrente, da cui trascegliere e discutere il meglio della nuova ricerca filologica e linguistica: in pratica offrendo uno status quaestionis in divenire di un’intero campo di studio. Si noti che il dizionario darebbe anche accesso diretto agli studi esaminati, tramite link, se – com’è nei voti – la pubblicazione digitale diventasse la pratica più diffusa.

Spostiamoci allora sull’altro versante, quello degli autori delle ricerche originali. Oggi naturalmente nessuno pubblica un articolo o un saggio per essere citato e approvato in un commentario o in un’altra opera di consultazione, anzi considereremmo bizzaro chiunque lo facesse: gli intervalli con cui vengono pubblicate opere simili sono di norma troppo lunghi – talvolta rimangono tali anche quando la pubblicazione è data per imminente... – o comunque irregolari e imprevedibili; l’opera più autorevole è magari uscita in un passato recente, oppure quelle che ambiscono a raccoglierne l’eredità risultano alla prova dei fatti insoddisfacenti. Ma se supponiamo che il libro elettronico abbia partita vinta, e che quindi le opere autorevoli di riferimento in ogni disciplina vengano costantemente aggiornate, ecco che l’autore di un articolo o di un saggio potrebbe giungere a valutare positivamente la nuova possibilità che gli si offre: quella di vedere il suo lavoro approvato da un comitato scientifico, e non genericamente come accade con una rivista scientifica, ma bensì con l’indicazione tangibile di quale sia il contributo all’avanzamento del sapere che quell’articolo o quel saggio rappresentano. Quando la mia proposta di emendazione fa cambiare un testo critico di riferimento, o quando la mia interpretazione di un hapax guadagna il primo posto accanto al lemma nei dizionari più consultati, la ricompensa che ricevo non potrebbe essere maggiore; e la semplice menzione delle mie ipotesi come valide alternative alle scelte degli editori viene al secondo posto in questa scala di desiderabilità.

Non è insomma azzardato prevedere che in futuro i ricercatori sottoporanno spontaneamente le proprie pubblicazioni ai responsabili delle varie opere di riferimento. Ma in effetti, perché passare per il tramite di una rivista? Se è sempre un comitato editoriale quello che giudica il mio lavoro, e anzi alcuni dei suoi membri sono gli stessi che fanno parte del comitato scientifico della rivista corrispondente; se il dizionario biografico o la storia della letteratura o la raccolta di frammenti papiracei sono pubblicati sotto gli auspici della medesima istituzione che pubblica il Journal o la Revue o i Rendiconti; se la pubblicazione è nei due casi ugualmente celere (o ugualmente lenta, come capita...); se in un caso e nell’altro l’accesso al mio articolo è immediato, per mezzo di un apposito link: non è allora uno sviluppo razionale la sostituzione graduale (anche se in ogni caso mai completa) delle riviste con le opere di consultazione, come luogo in cui i risultati della ricerca vengono resi pubblici?

Dalle prime Philosophical Transactions della Royal Society fino ad oggi, le riviste scientifiche hanno assolto il compito di rendere disponibili celermente i progressi della ricerca. Proporre per lo stesso ruolo un’enciclopedia in molti volumi sarebbe stato non dico folle ma più banalmente inimmaginabile: la necessità di rieditare in continuazione tutto l’insieme avrebbe comportato uno spreco immane (e ingiustificabile) di tempo e di risorse. Ma adesso diventa per la prima volta concepibile un futuro in cui uno studio delle variazioni atmosferiche stagionali su Plutone trovi direttamente posto dopo la peer review in un’enciclopedia delle scienze astronomiche, che riempirebbe se stampata mille grossi volumi.

Quali vantaggi comporterebbe questa, che suggerisco di chiamare la pubblicazione strutturata della ricerca? Mi sentirei di indicarne due:

1.      in primo luogo, diverrebbero possibili enormi progressi nella reperibilità dell’informazione. Non sarebbero più articoli e saggi a venire indicizzati, come succede nei repertori bibliografici attuali, ma le singole ipotesi e i singoli dati presentati; un’osservazione interessante avanzata en passant non rischierebbe più di venire perduta. In ogni caso, avremmo probabilmente una focalizzazione della ricerca, con un fiorire di pubblicazioni centrate attorno a una singola proposta;

2.      la pubblicazione strutturata permetterebbe inoltre di rendere visibile in ogni area l’ipotesi che guadagna il consenso degli studiosi, o in alternativa di dichiarare un più prudente non liquet. Naturalmente non si può scambiare il parere di un comitato scientifico per il consenso generale; ma è probabile che chi la pensa diversamente sia stimolato a tentare la confutazione di ogni teoria discutibile, per quanto autorevolmente avallata. Avere un punto di riferimento con cui consentire o da cui dissentire costituirebbe uno sprone alla ricerca; oggi questo non sempre accade.

Il secondo punto costituisce anche una risposta all’obiezione più prevedibile che il sistema di pubblicazione qui delineato può suscitare: non favorirebbe tutto ciò un’idea monolitica e autoritaria della scienza, in cui i vari contributi siano etichettati rigidamente come buoni e meno buoni? Non si giungerebbe all’imposizione di una ‘verità’ ufficiale, gestita da comitati? Queste paure sono infondate, ritengo; e in ogni caso la pluralità delle iniziative, e la relativa facilità con cui ne potrebbero essere fondate di nuove, offriranno sempre una salvaguardia contro ogni rischio di ossificazione della ricerca. Ciò che dobbiamo temere non sono le valutazioni critiche, buone o cattive che siano, ma che il nostro lavoro cada nel silenzio, magari con la giustificazione del primato di una ‘tolleranza’ che raccoglie tutte le voci e non ne ascolta veramente nessuna.


[1] Cfr. Steve Ditlea, «The Electronic Paper Chase», Scientific American, n. 1101 (november 2001), <http://www.sciam.com/issue.cfm?issueDate=Nov-01>; ed. it., «La corsa alla carta elettronica», trad. di Fabio Feminò, Le Scienze, n. 402 (febbraio 2002), pp. 94-99.

[2] Un punto di vista molto equilibrato sul futuro del testo scritto è espresso sotto forma di reminiscenza ante eventum da Gino Roncaglia nel capitolo «Scritture elettroniche: dalle discussioni sul futuro del libro al movimento ‘Experience’», in Marco Calvo et al., Frontiere di Rete, Roma-Bari, Laterza, 2001, <http://www.laterza.it/internet/home/speciali/2001/frontieredirete/index.htm>.

[3] Questo naturalmente è vero solo se gli utenti utilizzano dispositivi di lettura perfezionati, che rendono superfluo l’uso della stampante.

[4] «Prefazione del curatore», in Le discipline orientalistiche come scienze storiche. Atti del 1º Incontro «Orientalisti» (Roma, 6-7 Dicembre 2001), a cura di Giuseppe Regalzi, prefazione di Chiara Peri, Roma, Associazione Orientalisti, 2002, pp. 7-8, <http://purl.org/net/orientalisti/atti2001.htm>; ora disponibile anche come pagina web a sé, <http://purl.org/net/regalzi/pref2001.htm>.

[5] Ovviamente disponibili in rete: <http://www.ecs.soton.ac.uk/~harnad/intpub.html>.

[8] The Sacred Books of the Old Testament: A Critical Edition of the Hebrew Text Printed in Colors, with Notes Prepared by Eminent Biblical Scholars of Europe and America, ed. by Paul Haupt, Leipzig-Baltimore-London, Hinrichs’sche Buchhandlung - The Johns Hopkins Press - Nutt, 1893-1904.

[9] Per un progetto più generale che si muove in questa direzione cfr. Yannis Haralambous e J. Nonat, «Un prototype de lecteur de vario-document», in Comptes-rendus de DVP 2002, Brest 2002, <http://omega.enstb.org/yannis/pdf/dvp2002.pdf>.

[10]  M. Liverani, Antico oriente... cit., Roma-Bari, Laterza, 1988, p. X.


 

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